Torna alla pagina precedente!

 

 

Indice

 

1)     Quadro introduttivo

2)     Principali riferimenti gentiliani (spesso travisati)

3)     Pedagogia come teoria dell’educazione (N. Abbagnano e A. Visalberghi)

4)     Pedagogia come scienza dell’educazione (G. Giugni e R. Laporta)

5)     Pedagogia come filosofia dell’educazione (G. M. Bertin e F. Cambi)

6)     Pedagogia e scienze dell’educazione (R. Massa e C. Scurati)

7)     Verso una concezione epistemologica delle discipline dell’educazione

Bibliografia di riferimento

 

 

1) Quadro introduttivo

 

         Caduto il fascismo e finita la seconda guerra mondiale, poiché pienamente consapevoli della necessità di un rinnovamento culturale e valoriale capace di dar vigore ad un diverso principio di morale sociale da attivare nella vita della popolazione, gli studiosi di  Pedagogia cominciano un cammino di ricerca per costruire una nuova identità della disciplina, così come gli eletti nella Costituente intendono rigenerare le fonti sociali e politiche della legalità e gli uomini e le donne del mondo dell’impresa e del lavoro cercano di ricostruire le basi materiali della nazione. Le prime posizioni in confronto, ovviamente, si manifestano ampiamente divergenti, facendo riferimento all’ampio ventaglio di posizioni ontologiche delle filosofie esistenzialiste, marxiste, fenomenologiche, pragmatiste, neopositiviste e neotomiste (varietà che si deve considerare come un grande patrimonio della disciplina, salvaguardato durante il Fascismo proprio dall’egemonia gentiliana), mentre operano ancora potenti fondamenti della visione attualistica. Le tensioni della politica interna (tra Fronte popolare e DC) e internazionale (guerra fredda), tuttavia, radicalizzano ben presto quelle posizioni che avrebbero potuto forse meglio servire la nazione con l’espressione di un progetto unitario di rinnovamento pedagogico.

         In realtà solo nella fase di costruzione dei principi da sancire nella Costituzione e sul problema pratico di far ripartire la scuola in atto, ha trovato spazio “un partito unico della scuola” che, sotto la guida di B. Croce e C. Marchesi (liberale il primo e comunista il secondo), è stato capace di mettere tutti d’accordo con la definizione degli articoli 33 e 34. Subito dopo, come detto, nasce nella politica italiana un’aspra competizione tra le posizioni cattoliche e quelle riformiste e rivoluzionarie della Sinistra che coinvolge i partiti, i sindacati e le associazioni culturali (per gran parte loro emanazione) e si materializzerà nella spartizione delle cattedre universitarie, protraendosi fino quasi ai giorni d’oggi e, inevitabilmente, oscurando o lasciando a notazioni marginali tutte le posizioni differenti e non ideologizzate (com’è, fin dai primi tempi, quella di Washburne, presidente della commissione alleata per la defascistizzazione dei programmi e dei testi e poi d’altre organizzazioni culturali, ma anche potente innovatore della scuola attiva negli Stati Uniti).

         Come ci ricorda F. Ravaglioli [1] , la discussione promossa dalla Società filosofica romana nel 1953 sul tema “È la cultura italiana ancora idealistica?” permette una prima mappatura dei protagonisti nella polemica contro l’attualismo gentiliano (più che contro l’idealismo crociano). Ma di maggior interesse, per l’argomento qui trattato, rispetto alle nuove vie che stanno intraprendendo i vecchi seguaci di Gentile (U. Spirito, E. Codignola, G. Calogero, G. Bontadini, A Carlini, L. Volpicelli ecc.) è l’appalesarsi di un’urgente chiarificazione sui rapporti tra pedagogia, scienza e filosofia, presupposto necessario a costruire un valido fondamento di quell’area epistemica che raccoglie l’insieme degli studi sull’educazione.

         Mentre molti autori, infatti, continuano ad usare, per indicare tale campo della conoscenza, i tradizionali termini di “pedagogia” e “filosofia dell’educazione” (precisando volta a volta il senso dei due termini in diretta derivazione dal rapporto reciproco tra le due discipline), F. De Bartolomeis, tuttavia, in pieno clima di studio e valorizzazione dell’Attivismo (e solo secondariamente del Pragmatismo), ha iniziato a parlare della “pedagogia come scienza” (edizioni del 1953 e del 1976) con evidente preciso riferimento a precedenti esordi positivistici (internazionali, come in A. Bain e nazionali, come in P. Siciliani) e deweyani [2] del medesimo termine. Siamo, in altre parole, su una posizione ben distinta da quella tradizionale, come è ampiamente accaduto nel discorso dell’idealismo, dove “scienza” viene usato indifferentemente rispetto ad altri termini come “disciplina” e “ricerca”,  connotando in tal modo comunque soltanto una conoscenza fondata e pienamente applicabile anche al campo filosofico/pedagogico, riservando, invece, allo studio puramente scientifico/ psicologico un termine ben definito come quello di “pedologia”. Si sta, infatti, così definendo una terza via al medesimo campo epistemico, con l’intento di caratterizzarne l’approccio scientifico (come strumento di conoscenza certa, propugnato sia dal Positivismo che dal Neopositivismo, anche se con rilevanti differenze [3] ), anche se al momento è solo una dimensione auspicata: De Bartolomeis medesimo (e dopo di lui anche gli altri che lo seguiranno su questa via) precisa che la pedagogia al momento è scienza come atteggiamento e non come sistema.

         Da questo momento in poi quasi tutti i pedagogisti (per il campo cattolico si vedano A. Baroni e G. Giugni) cominciano ad utilizzare stabilmente il termine di “scienza” con l’intento di De Bartolomeis; ma con ciò si accelera evidentemente la necessità di arrivare ad una chiarezza di fondo. A questo compito, seppur dopo più di venti anni, si applica meritoriamente la rivista “Scuola e Città”, fondata dal gentiliano E. Codignola e passata poi rapidamente nell’area della Sinistra. Dopo un’ampia ricognizione tra le diverse posizioni (quella spiritualista, personalista e neoscolastica di area cattolica: M. Peretti, P. Braido, G. Corallo, G. Flores d’Arcais, G. Catalfamo, A. Valeriani, M. Laeng ecc.; quella marxista e d’area socialista: A. Broccoli, B. Suchodolski, A. Santoni Rugiu, L. Tornatore, N. Filograsso, M. Gattullo, R. Laporta, P. Bertolini, F. Frabboni ecc.; quella pragmatista, neopositivista e scientista: L. Borghi, A. Granese, R. Fornaca, E. Becchi, C. Metalli Di Lallo, ecc.), conclude i lavori G. M. Bertin, allievo di A. Banfi, esponente del neocriticismo kantiano a orientamento marxista: al constatato riconoscimento dell’importanza del momento filosofico nella ricerca educativa non corrisponde più un pari interesse da parte degli studiosi di pedagogia (docenti universitari), né un interesse per un’organizzazione di studi che lo sostenga e lo promuova adeguatamente a livello della prima formazione universitaria dei docenti dei diversi ordini di scuola [4] .

         Ma ancor più chiara e decisa è la conseguenza che l’autore (incredibilmente, per il suo approccio filosofico) proietta nelle linee di sviluppo della nuova filosofia dell’educazione. Assodato che la pedagogia filosofica sia un sottoprodotto filosofico, se ne potrebbe considerare ormai caduta ogni funzione, tuttavia più che abolirla è meglio precisarne il campo d’indagine ed i rapporti interdisciplinari con le altre scienze dell’educazione. I settori di specifica pertinenza sono: 1) l’analisi del discorso pedagogico; 2) il coordinamento critico interdisciplinare delle scienze dell’educazione (in particolare quelle sociali o umane) e 3) il ridimensionamento d’ogni prospettiva (o velleità applicativa) nel contesto storico-cuturale e socio-politico, in modo da affievolire il dogmatismo di cui inevitabilmente una tale caratterizzazione si rende portatrice. Un punto a parte, poi, consiste nella distinzione tra questa filosofia dell’educazione (di origine pedagogica), considerata minore, e “i compiti di quella filosofia inevitabilmente implicita in ogni sistema pedagogico …  e cioè della concezione generale della vita e del reale, presupposta in ogni presa di posizione educativa” [5] , considerata maggiore. Segue a questo proposito una bella pagina di quel “sottoprodotto filosofico” che l’autore aveva citato prima, a giustificare ampiamente una posizione subalterna nella gerarchia tra filosofia maggiore (o ideologia politica) da un lato, e filosofia dell’educazione (d’origine pedagogica) dall’altro, ad evitare per sempre che possa accadere, come nel pensiero gentiliano, proprio l’opposto.

         In conformità a queste posizioni, benché fin dal 1980 sussistessero indicazioni molto più coerenti sulla funzione della filosofia dell’educazione (come si vedrà al compimento del nostro percorso), si è voluto protrarre ancora per alcuni anni una posizione di comodo nella cultura italiana che ha teorizzato e predisposto il pedagogista al servizio dell’ideologia: da un lato quell’ideologia quasi sempre altalenante tra il riformismo socialista e la rivoluzione marxista dei partiti di una Sinistra, peraltro, ampiamente egemone nell’acculturazione della società, fino a conseguire il conformismo di grandi strati della popolazione, quelli ovviamente che, dall’altro lato, non fossero ancora stati acculturati dal mondo cattolico, con i suoi precipui strumenti di penetrazione culturale. Di pari passo potrebbe ora andare coerentemente una rassegna della distribuzione ai due campi dei centri di cultura e delle cattedre universitarie, ma questo lavoro esula dal nostro tema.

 

2) Principali riferimenti gentiliani (spesso travisati)

 

         Come già detto, operano durante i primi anni della Repubblica nella cultura scolastica italiana ancora i potenti fondamenti del pensiero idealistico gentiliano che hanno potuto formare i nuovi protagonisti attraverso la scuola, sebbene fossero stati combattuti in pieno ventennio (con maggior fortuna di P. Martinetti e la sua “Rivista di Filosofia” in raccolta di tutte le voci culturali d’opposizione al fascismo) dalla scuola neoscolastica di padre A. Gemelli che aveva affermato nel congresso nazionale di filosofia del 1929: “Nulla vi è di meno religioso, di meno cristiano del pensiero di Gentile e degli Idealisti” [6] .

         Del resto l’opera pedagogica più analitica [7] del riformatore della scuola italiana anticipa di tre anni le prospettive ontologiche del suo Attualismo che sono poi state oggetto di un’altra opera, considerata più decisivamente e caratteristicamente fondativa [8] di questa impostazione filosofica, a dimostrazione dell’importanza e del significato che assume la disciplina pedagogica nell’impianto del suo pensiero filosofico. Ovvero in considerazione del fatto, in altre parole, che “l’atto pedagogico è il paradigma dell’atto spirituale in genere” [9] , giacché il conoscere del soggetto conoscente equivale, per Gentile, alla creazione dell’oggetto conosciuto secondo le fasi dialettiche che portano da una sua posizione iniziale, all’opposizione al soggetto conoscente, per pervenire in conclusione alla riconduzione dell’oggetto al soggetto medesimo (da cui il conoscere è espresso agostinianamente con la massima “Noli foras ire, in te ipsum redi; in interiore nomine habitat veritas” posta in apertura del Sommario). Questo è, infatti, anche il processo del pensiero come spirito, seppur nell’orizzonte di una dimensione trascendentale, vale a dire così come sarà sviluppato nel passaggio dal pensiero concreto del Sommario di pedagogia al pensiero astratto della Teoria generale dello spirito.

         La pedagogia, al pari di quello che compie ogni altra disciplina filosofica e scientifica sul proprio oggetto, considera la realtà (in questo caso dell’atto educativo) nella sua maggior concretezza possibile e ad un livello di globalità (“universalità” per Gentile), dove ancora non c’è distinzione dell’essere dal dover essere, del fatto dalla legge o dall’ideale. Come unità di processo reale e di processo spirituale, la realtà dell’atto educativo non è un semplice accadimento (un fatto), ma un atto con una precisa determinazione valoriale, un atto spirituale e libero (in questo senso l’A. sta parlando dell’educazione in azione e non ancora della riflessione sulla medesima). Per procedere oltre nell’inveramento del suo progetto, la pedagogia, tuttavia, al pari d’ogni altra disciplina filosofica e scientifica, dovrà risolversi nella filosofia (nel corso dello sviluppo della riflessione sull’educazione); ciò non significa che ogni altra disciplina filosofica e scientifica sia destituita dalla possibilità di una conoscenza vera, ma solo che la conoscenza prodotta ai primi livelli di analisi richiede un ulteriore approfondimento di tipo critico, quale solo la filosofia può dare.

         Il problema pedagogico si presenta, infatti, secondo entrambi i due aspetti della realtà che consistono insieme nell’atto spirituale. Due aspetti che non sono propriamente due facce della medesima realtà (in altre parole, insiti nell’oggetto), ma due diversi punti di vista da cui traguardarla (in altre parole, insiti nel soggetto), come i due occhi che danno la vista alla persona. Col primo occhio, infatti, si vede la realtà così com’è, vale a dire come un fatto (si tratta dell’occhio della scienza); col secondo, invece, si vede la realtà come dovrebbe essere, vale a dire come un atto (si tratta dell’occhio della filosofia). Nel primo caso, poi, il filosofo “non troverà ragionevole lodarla o biasimarla, gioirne o piangerne” [10] , ma vorrà solo intenderla (con questo Gentile esprime larvatamente il concetto dell’avalutabilità della Scienza naturale). Per quanto ci si sforzi, non è possibile escludere uno di questi punti di vista; si tratta della doppia considerazione del reale che porta a due diversi significati: da un lato ci si chiede come si forma l’uomo, come si sviluppa lo spirito umano e quali sono le leggi della formazione umana; dall’altro lato ci si chiede come si deve formare l’uomo e qual è l’uomo che dobbiamo formare. In tal senso il problema dell’educazione è oggetto sia della Psicologia, quale scienza dello sviluppo naturale dello spirito, che dell’Etica, quale ricerca filosofica dei fini cui deve mirare tale sviluppo.

         Mentre il pedagogista di fronte a questa divaricazione deve pur decidere quale strada intraprendere (e saranno, ai tempi d’oggi, l’una la strada che sta percorrendo la pedagogia clinica, l’altra la strada della pedagogia ermeneutica), il filosofo può invece superare il dualismo, dimostrando che non c’è etica senza psicologia e psicologia senza etica, ovvero che non sussiste alcun fatto che non sia l’affermazione di un valore, “né natura che non si spiritualizzi, né necessità che non sia la stessa assoluta autodeterminazione dello spirito (autoctisi)” [11] . Soltanto quando si sia giunti a questo traguardo, si può dire che la pedagogia sia filosofia, non prima. È solo a questo punto del discorso, infatti, che Gentile può ampiamente esplicitare lo sviluppo del rapporto tra filosofia e pedagogia [12] dal pulpito egemonico della sua filosofia: si inizia dalla pedagogia psicologica che, cercando di porsi come scienza autonoma, si può realizzare soltanto come scienza particolare e così facendo si inaridisce in una forma deterministica ed oggettivata, ma può e deve essere rivitalizzata dalla pedagogia filosofica (dell’Attualismo) che in tal senso la risolve in sé medesima e, con il riaffacciarla alla processualità del pensiero e all’attuazione dell’autocoscienza, la può riconsiderare in una dimensione non più oggettivistica e deterministica, ma universale e creativa.   

        Per concludere questa breve panoramica del pensiero pedagogico gentiliano, non si deve tacere dell’argomento (quello forse più importante dei tanti interessanti) che aveva fatto gettare a Padre Gemelli (uno dei padri riconosciuti della Psicologia italiana) l’anatema cattolico sull’Attualismo: perché se il concetto dello spirito come sviluppo eterno poteva rivitalizzare la pedagogia di marca psicologica, diversamente le filosofie dello spirito come sostanza (in particolare l’Aristotelismo, il Tomismo e il Neotomismo di cui Padre Gemelli fu forse il principale esponente con la fondazione della “Rivista di filosofia neoscolastica”) comportano invece il distacco dalla filosofia e l’inaridimento fattuale della pedagogia psicologica (come scienza psicologica) così come anche di tutte le altre discipline (scientifiche).

 

3)     Pedagogia come teoria dell’educazione (N. Abbagnano e A. Visalberghi)

 

         N. Abbagnano, pur conosciuto per il suo approccio filosofico esistenzialista, ampiamente esaminato dal punto di vista delle potenzialità pedagogiche da G. M. Bertin [13] , quando affronta la tematica dell’educazione nei testi per le scuole secondarie, tuttavia, lo fa partendo da un punto di vista storico e culturale, ricordando che cosa sia la cultura e come debba essere trasmessa ed appresa, perché possa svolgere la sua funzione (fondamentale per la sopravvivenza della vita del gruppo) al passare delle generazioni. Per tale via, perciò, giunge a dire che l’educazione consiste in questa trasmissione e che nell’antichità classica (generatrice della cultura occidentale) i compiti “di conservazione e rinnovamento della cultura furono affrontati in forma razionale e consapevole dalla filosofia” [14] . Ma non poteva essere diversamente, poiché la filosofia come forma di generale riflessione razionale e sistematica sui problemi della cultura umana ha il compito (soprattutto nell’antichità, quando era “amore per la sapienza”, e fino alla nascita della scienza moderna) di preservare dall’obsolescenza e di promuovere gli sviluppi della conoscenza culturale. La filosofia, dunque, quando si occupa in modo preciso e deliberato del fenomeno educativo, allora si chiama “filosofia dell’educazione o pedagogia”.

         Tra filosofia dell’educazione e pedagogia, perciò, sussiste una connessione assai stretta, tuttavia esse non coincidono totalmente, giacché appartengono soltanto alla seconda talune scienze, o loro sezioni, che sono necessarie “per il controllo del processo educativo”: innanzitutto la psicologia (almeno nelle parti che riguardano lo sviluppo mentale, la formazione del carattere e le modalità dell’apprendimento), l’antropologia e la sociologia, ma poi anche la didattica, come sviluppo delle tecniche emergenti dalla pratica educativa, e infine la docimologia, quale tecnica degli esami e in genere del profitto scolastico. Per questo verso la pedagogia deve tener conto dei rapporti che intrattiene con dette scienze, anche se non può ridurre totalmente la propria identità alla somma di queste. Alla pedagogia spetta, infatti, il compito di coordinare gli apporti delle diverse scienze ausiliarie, traendone motivo per individuare l’ulteriore sviluppo della materia, onde impedire che la medesima si immobilizzi in una visione statica e perenne. Questo compito lo può affrontare in quanto è fondamentalmente filosofia.

         In origine, infatti, la pedagogia corrispondeva all’arte pratica dell’insegnante e dell’educatore, divenendo solo in seguito la teoria dell’educazione con lo svilupparsi della riflessione su quest’arte pratica, sia in modo sistematico (opera del pedagogista) che episodico (all’occorrenza del docente e dell’educatore). In tal senso nell’antichità classica non aveva dimensione autonoma, ma era considerata un aspetto di altre discipline filosofiche, come l’etica o come la politica (Platone, Aristotele ecc.). Ad un certo punto, dunque, sussistevano due oggetti separati di studio della pedagogia: quelle tecniche pratiche per insegnare la cultura alle giovani generazioni da un lato (il compitare per l’insegnamento del leggere, dello scrivere e del far di conto) e le riflessioni filosofiche sul fine morale che anche l’educazione doveva assumere, come aspetto della filosofia morale, o sul fine politico, come aspetto della filosofia politica, dall’altro. Comenio aveva poi fuso i due campi in un sistema pedagogico che “partiva dal fine educativo per giungere a considerare dei mezzi e degli strumenti didattici” [15] . In seguito anche la psicologia ha iniziato ad occuparsi dei mezzi dell’educazione ed è divenuta così la principale scienza sussidiaria della pedagogia.

         A. Visalberghi, qualche anno dopo, nella prefazione di “Pedagogia e scienze dell’educazione” riprende la tematica alla luce degli ulteriori sviluppi succedutisi, ma lo fa per prendere le distanze dal fenomeno per cui in Italia, come altrove, si stava ormai sostituendo il termine “scienze dell’educazione” a quello di “pedagogia”, perché è “ben legittimo parlare ancora di pedagogia, per indicare l’approccio più generale e progettualmente impegnato ai problemi educativi [16] ”. Coerentemente, poi, per dimostrare il valore dell’affermazione, nel primo capitolo del testo discute la nuova enciclopedia delle discipline pedagogiche (che intanto dalle prime elementari delineazioni di Abbagnano sono arrivate a ben ventiquattro), riservando però un posto esterno alla filosofia dell’educazione e/o pedagogia generale che non vi può occupare alcun posto interno, giacché destinata ad esercitare una riflessione critica sull’insieme. Nel secondo discute del concetto di “scienza dell’educazione” dall’origine positivista e pragmatista, ma presto lo abbandona in rapporto al compito pratico della formazione (sia la prima formazione universitaria che quella in servizio) degli insegnanti, affrontando infine nel terzo il significato del termine “filosofia dell’educazione”.

         Per Visalberghi tale termine indica non una parte specifica, ma l’intera filosofia osservata da un certo punto di vista; e in questo senso può essere sinonimo semplicemente di “riflessione generale sull’educazione” (o teoria dell’educazione) ovvero di “filosofia applicata all’educazione”. Proprio volendo accentuare quest’ultimo orientamento la filosofia dell’educazione può divenire il paragrafo terminale (l’ultima sottodivisione applicativa) d’ogni capitolo (le divisioni principali) della filosofia. Il problema, ovviamente, nasce dal fatto che in questo modo la nostra disciplina diviene strutturalmente oggetto consequenziale dell’apriorismo filosofico, da tale condizione non potendo più in alcun modo aspirare, come invece nel pensiero dei pedagogisti, a rifondare i valori e i significati (della filosofia e della cultura). Allora meglio tornare alla pedagogia, corpo filosofico un po’ autonomo e  normativo dell’educazione, ma potente strumento di analisi nella dinamica “fini - mezzi”, capace in altre parole di delineare nuovi valori e di definire nuove sintesi generali di lavoro e ricerca.

         Per questa via, poi, l’Autore giunge fin nel territorio dell’epistemologia scientifica per descrivere il procedimento scientifico e dare ampie, aggiornate e approfondite interpretazioni dei classici procedimenti induttivo e deduttivo, non senza concludere con una generosa illustrazione dei differenziati effetti su cui può andare a ricadere un approccio pedagogico di origine determinista riduzionista o di orientamento naturalista umanistico, ma senza trarne le conseguenze sullo statuto della pedagogia, come invece si stava facendo in campo epistemologico da parte del razionalismo critico (che riprenderemo alla fine).

 

4)     Pedagogia come scienza dell’educazione (G. Giugni e R. Laporta)

 

         La pedagogia come scienza nasce, per G. Giugni, con le opere di E. Claparède e M. Montessori, perché in antico era stata considerata soltanto un’arte pratica sviluppata con l’esperienza (a posteriori) per allevare i bambini, trasmettere loro le tradizioni sociali e inserirli nel gruppo di appartenenza, una volta diventati fanciulli, oppure una filosofia che si occupa di determinare (a priori) le finalità e il procedimento dell’arte educativa in riferimento ad una specifica concezione dell’uomo. La nascita della scienza della natura, in età moderna, pur fondata “sul presupposto filosofico dell’intrinseca razionalizzazione del cosmo, rende possibile la considerazione dell’uomo come essere naturale e, quindi, soggetto ad uno sviluppo conforme alla sua particolare natura. Rousseau, per primo, poi scoprì il valore dell’educazione come identità tra natura e coscienza e intuì sia il valore dell’infanzia nella formazione dell’uomo, sia la possibilità dell’autonomia dell’educazione” [17] .

         La pedagogia è perciò scienza dell’educazione; la scienza che studia in modo sistematico come l’educazione si realizza in un determinato ambiente sociale. Il termine “educazione” significa, infatti, sia un processo che il suo risultato e si riferisce a tre elementi che intervengono nel suo sviluppo: 1) quelli interni al soggetto, intesi come caratteristiche di chi si educa (personalità, salute, intelligenza ecc.); 2) quelli esterni, come influenze dell’ambiente sociale cui l’individuo è sottoposto; 3) quelli interattivi, come le modalità con cui l’individuo risponde agli stimoli esterni e si modifica; in tal senso, infatti, la personalità è la risultante delle originarie dotazioni individuali e degli influssi esercitati dall’ambiente. La pedagogia studia i procedimenti scientifici adatti a modificare la dotazione dei soggetti nel modo migliore per il compimento integrale della personalità di ciascuno e, da un lato poiché consta di una ricerca condotta con metodo scientifico, è scienza, come già indicato da J. Dewey, e, dall’altro lato poiché ha un suo campo specifico d’applicazione, è scienza autonoma.

         A quale tipologia di scienza appartenga (teorica o pratica, descrittiva o prescrittiva) e cosa voglia significare che è autonoma, si chiede poi G. Giugni, arrivando a queste conclusioni: quanto alle determinazioni della pedagogia intesa come scienza, si può ben affermare che le possieda tutte, perché si può considerare “teorica”, giacché ha per fine la conoscenza sistematica dei presupposti teoretici dell’educazione (definizione del fenomeno, sue condizioni e conseguenze, sue caratteristiche e finalità ecc.); “pratica”, perché, dopo aver definito le finalità, ricerca i mezzi più adatti, le strategie più efficaci, le metodologie corrette riguardo a tali fini; “descrittiva e prescrittiva insieme in quanto può formulare regole o criteri di educazione solo tenendo ben presenti le caratteristiche fondamentali dello sviluppo della personalità e dell’ambiente in cui si compie” [18] . Sempre seguendo quest’ottica l’A. descrive, coerentemente, il procedimento scientifico tipico della pedagogia:

·        formulazione dell’ipotesi (significato e fini dell’educazione in una determinata situazione),

·        elaborazione di conseguenti orientamenti adeguati a tradurre l’ipotesi in un fatto concreto (con determinazione cioè dei risultati auspicabili),

·        ricerca delle modalità più coerenti e valide per realizzare praticamente gli orientamenti educativi e perseguire i risultati.

         Certamente G. Giugni opera queste analisi con ampio riferimento al Personalismo cattolico e secondo positive attese di un efficace intervento educativo nella società; R. Laporta, invece, riferendosi più direttamente alla cultura laica e riformista di Sinistra, può affermare che ancora l’educazione si trova assai lontana dall’essere quella forza capace di contribuire al progresso umano sempre ipotizzata: perciò oggi crederlo è una scommessa difficile da vincere [19] . Si marca così una distinzione fondamentale, sebbene entrambi questi Autori propendano per una concezione della pedagogia come scienza, proprio mentre stanno vivendo in Italia quel momento di passaggio dalla società moderna o industriale alla società postmoderna o postindustriale che verrà vieppiù caratterizzandosi sul finire del millennio e che cambierà molti dei paradigmi del modo di vivere e di pensare.

         Nella visione di R. Laporta la scienza dell’educazione è arrivata troppo tardi (come in genere anche le altre scienze dell’uomo), mentre l’educazione si è realizzata fin dagli albori della civiltà e in questo lungo percorso ha trovato avversi, di volta in volta, la scuola (quando rimane sottomessa alla prepotenza di una gerarchia di valori pratici dominanti o teorici non condivisi) e l’ideologia (sia religiosa, che filosofica, e in ogni modo confluenti entrambe in quella politica). Tuttavia non può che essere scienza, perché la scienza si esprime mediante un metodo capace di eliminare le contraddizioni e di autocorreggersi, è fondata sulla condivisione di un approccio oggettivo al reale, offre all’uomo la possibilità di un controllo sempre più completo sulla realtà sia naturale che sociale e può affrontare efficacemente i suoi bisogni.

         L’oggetto della pedagogia come scienza non è solo l’uomo come organismo da descrivere, ma “l’uomo in quanto realtà chiamata a costruir se stessa [20] ”; perciò il fine immediato di tale scienza è quello di creare le condizioni individuali e sociali necessarie a porre il soggetto nella condizione di autodeterminazione, mentre il fine più prospettico è quello di realizzare una società come complesso di condizioni produttive, strutturali, morali, intellettuali interagenti nel rendere l’uomo padrone di sé; in tal senso la pedagogia come scienza dell’educazione sembra all’A. il solo mezzo sociale capace di realizzare la natura dell’uomo attraverso la sua cultura, mai riducibile a strumento d’ideologia, anche se deve intrattenere continui rapporti con gli ideali, le verità, i valori, i significati della medesima, come orizzonte di ipotesi utili a far nascere nuove ricerche e nuove prospettive. Nella riduzione delle prospettive valoriali dell’ideologia a pure ipotesi d’umanità da coltivare nella scienza dell’educazione si riduce la violenza dell’ideologia medesima, ed anche le tecniche educative che si determinano nell’alveo di una tale scienza positiva dell’educazione, assumendone i medesimi caratteri, devono dotarsi di autoderminazione e autocorrezione.

         Per R. Laporta, infine, se la scienza dell’educazione è in grado di raccogliere la sfida per l’uguaglianza e la libertà dell’uomo, per il suo affrancamento da qualunque conformismo e per la liberazione della sua creatività, ricomponendo tali prospettive in un disegno complessivo dello sviluppo umano personale e sociale, il suo esito è fondamentalmente politico. 

 

5)     Pedagogia come filosofia dell’educazione (G. M. Bertin e F. Cambi)

 

         Allievo di A. Banfi, G. M. Bertin riprende alcune tematiche sviluppate dal maestro e le discute sistematicamente. Tra una filosofia in crisi o che risolve tutto nell’analisi del linguaggio e una pedagogia sempre più appoggiata alle scienze, esiste ancora una funzione della filosofia dell’educazione? L’A. si risponde positivamente indicando, non solo nella spiegazione della scelta delle finalità nei vari settori educativi e dei relativi metodi, atto dovuto da coloro che sono impegnati nell’insegnamento per propalare le implicazioni delle proprie scelte, ma anche nell’esplicitazione di un piano universale (trascendentale, per usare la terminologia kantiana cui, del resto, fa esplicito riferimento anche l’A.) dell’esperienza educativa, cioè della problematica generale dell’educazione (compito del filosofo). Questi, dunque, sono gli oggetti di studio di una tale filosofia che va distinta, nondimeno, in modo assai deciso e definitivo da una pedagogia intesa come la scienza dell’educazione. 

         La filosofia dell’educazione, infatti, è mirata all’analisi dell’esperienza educativa in forme strutturali libere da determinazioni particolari, mentre la pedagogia è orientata ad un’impostazione educativa concreta e determinata. Certamente il percorso filosofico, seguendo il procedimento critico banfiano, dunque, deve partire dal momento critico trascendentale dell’esperienza educativa (ancora scevra da potenzialità ontologiche) per riferirsi in seguito all’analisi delle sue forme concrete ed ontologicamente determinate (nell’essere, nell’esistere e nel dover essere). Procede poi attraverso i due momenti della problematicità (molteplicità delle forme che si presentano all’esperienza) e del suo superamento secondo una direzione razionale (capace di integrare in funzione di un progetto educativo unitario la molteplicità delle forme medesime).

         Il momento trascendentale deve definire in una forma specifica la complessità dell’esperienza educativa con rispondenza, dato il suo carattere generale, a tutte le diverse e tipiche situazioni pedagogiche, al fine di farne un momento regolativo delle medesime. In tal senso la modalità espressiva più adeguata sembra quella di una formula per antinomie (ciascuna costituta da una tesi e da una antitesi che si oppongono, escludendosi a vicenda, ma mantenendo una propria validità riflessiva), dove le coppie di posizioni opposte “permettono la delimitazione di un campo educativo aperto alla comprensione dell’universalità delle forme in cui l’esperienza educativa si manifesta” [21] . Le differenti soluzioni, ad esempio, del problema della formazione della personalità sono nate da due esigenze antitetiche: quella egocentrica (affermazione del soggetto) e quella eterocentrica (depotenziamento dei valori dell’individualità). Così tutti i modelli pedagogici riferiti agli indirizzi che storicamente hanno sostenuto l’uno o l’altro degli opposti della formula sono inclusi e richiamati nella formula medesima e ad essi si può applicare l’analisi filosofica trascendentale conseguente, mentre l’analisi filosofica a sua volta può discutere dei modelli in modo trascendentale e da qui costruire tutto il suo percorso.    

         Dopo più di venti anni F. Cambi, pur da un punto di vista analogo, ma con una metodologia argomentativa diversa, torna sull’argomento propugnando ancora una caratterizzazione differenziata tra pedagogia e filosofia dell’educazione. Nella sua prospettiva, infatti, quest’ultima ha subito un duplice processo: di riduzione e di specializzazione, passando da una posizione predominante e generale (in testa alla pedagogia per guidarne tutto il percorso) ad una collaterale e particolare. Collaterale (l’A. usa il termine “centrale” per indicarne il permanere dell’importanza della posizione predominante anche nella nuova condizione, ma concettualmente poi esprime il mutamento di collocazione), perché anziché rivolgersi agli elementi assiologici e teleologici cogenti per tutto il processo pedagogico argomentativo che da essi non può non emanare, oggi è diventata oggetto di una funzione metodologica o meglio metapedagogica. Particolare, perché per assumere questo nuovo ruolo ha dovuto specializzare il proprio approccio (linguaggio, contenuti, metodi ecc.) assumendo un atteggiamento più profondamente epistemologico rispetto all’approccio più generico e globale di prima (che comunque conteneva già tra le altre anche la dimensione epistemologica).

         Il risultato del cambiamento ha prodotto un’intensa e profonda attenzione alla filosofia dell’educazione quasi da parte di tutte le posizioni pedagogiche, con potenziamento degli aspetti di criticità e di regolatività, fino a pervenire per l’A. ad un’ottica radicale (di messa in discussione d’ogni dato, presupposto, principio ecc.) applicata ad un esercizio trasversale (che taglia tutti i saperi). Questa filosofia dell’educazione, tralasciando per ora la riflessione sui problemi pedagogici generali, si sviluppa in forme-guida o ambiti-chiave: 1) l’epistemologia, 2) l’assiologia, 3) l’ontologia. Il primo aspetto specifico è connesso alla riflessione sul sapere pedagogico e le domande a cui deve dare risposta riguardano che tipo di sapere è quello pedagogico, quale rigore lo contrassegna e a quale criterio di verità risponde. Ovviamente l’A. dà ampia risposta personale ai vari quesiti, ma al momento non ce ne possiamo occupare (tuttavia il lettore interessato può accedere direttamente all’opera di F. Cambi [22] )

         Il secondo grande ambito in cui deve cimentarsi la filosofia dell’educazione è quello dell’assiologia, perché ogni pedagogia è un sapere portatore, in senso esplicito o implicito, di valori che ne condizionano il progetto attuativo e il significato. Il problema in questo caso è che (come aveva già detto R. Laporta) altri saperi accompagnano la pedagogia e tendono a sovrapporre i loro valori a quelli propri dell’educazione. Perciò è diventato importante definire la corretta prassi d’individuazione dei valori educativi, secondo procedure razionali e d’autonoma elezione pedagogica, “fissando la dialettica dei punti di vista che, su questo piano assiologico, è imprescindibile e vincolandola a confrontarsi, costantemente, coi principi (anche valoriali) di quel sapere” [23] .

         La terza forma è, infine, quella dell’ontologia. Nell’introdurla l’A. fa un’ampia premessa collegandola alla metafisica tradizionale e al suo tramonto che ha provocato di conseguenza anche la caduta dell’ontologia medesima. Tuttavia la pedagogia ha bisogno di un fondamento ontologico alla base della definizione del proprio oggetto (su questo scambio tra un livello logico ed uno sostanziale, però, alcune scuole di pedagogia non sono d’accordo), così per Cambi l’ontologia da metafisica diviene regionale (concetto mutuato dalla Fenomenologia e che richiama l’ontologia regionale di Banfi come settore del sapere che si struttura su elementi) occupandosi della “descrizione formale di regioni dell’esperienza o dei saperi, nelle quali mette a nudo gli aspetti specifici, le loro strutture, i connotati costitutivi e regolativi, le eidetiche, le fenomenologie, le dialettiche specifiche” [24] .   

 

6)     Pedagogia e scienze dell’educazione (R. Massa e C. Scurati)

 

         Introducendo la discussione del significato dell’espressione “pedagogia e scienze dell’educazione”, si vuole qui proporre un’altra sintetica interpretazione del campo di conoscenza circoscritto dalle discipline educative, perché, come dice R. Massa [25] , sarebbe sbagliato dissolvere l’analisi dei fenomeni educativi completamente nella filosofia o, viceversa, nell’enciclopedia delle scienze, dal momento che la cultura contemporanea per procedere nel suo sviluppo, dopo aver tracciato i confini delle discipline, deve rivolgersi alla collaborazione tra competenze diverse e favorire il pluralismo metodologico. In questo senso, sebbene la prospettiva sia quella di una valorizzazione dell’approccio scientifico, non si può essere d’accordo col progetto del convegno tenutosi a Milano nel 1988 sul tema “La fine della pedagogia nella cultura contemporanea”, perché l’educazione è un fenomeno che possiede una propria natura intrinseca e la pedagogia è la disciplina che studia proprio questa natura. Il problema nasce dal fatto che la natura del fenomeno educativo si presenta oggi, nella società postmoderna, come un campo di studio multiforme, veramente sfaccettato ed articolato che richiede la presenza insieme della filosofia e delle singole scienze, della metodologia e della didattica ecc. e allora può essere legittimo chiedersi quale spazio rimane alla pedagogia.

          La risposta offerta da Massa individua la funzione specifica della pedagogia nella ricerca sulla dimensione conoscitiva della “struttura profonda e specifica dell’accadere educativo e dei suoi dispositivi” [26] in questo senso, mentre esclude ogni nostalgia per una scienza onnicomprensiva dell’educazione, ne prospetta l’originale sviluppo verso una vera e propria “clinica della formazione”. La formazione come espansione dell’istruzione e dell’educazione per esigenza della società attuale, lo studio sulle diverse procedure della ricerca pedagogica, la ricerca sui fondamenti del fenomeno dell’apprendimento/insegnamento e la sua l’applicazione al processo di progettazione della formazione, oltreché l’orientamento generale clinico, dunque, appaiono i nuovi (o almeno rinnovati dalle prospettive contemporanee) oggetti di studio della pedagogia.

           La pedagogia è sempre stata considerata sotto un’ottica d’identificazione con un altro settore di sapere che le ha di volta in volta offerto la propria interpretazione, il proprio linguaggio, la propria metodologia, negandole perciò autonomia e indipendenza, osserva C. Scurati [27] . In tutti questi casi le concezioni pedagogiche, infatti, derivano la propria impostazione direttamente da come si pensa avvenga il fatto educativo: nel biologismo come consequenziale sviluppo funzionale di fenomeni organici naturali, nel sociologismo come forma d’adattamento alle condizioni dell’ambiente sociale di vita, nello psicologismo come naturale dispiegarsi dei processi di sviluppo della personalità individuale, nell’attualismo come realizzazione del puro processo spirituale di personificazione. Ecco come il discorso pedagogico, dunque, può avere senso soltanto all’interno del sistema conoscitivo predisposto da quella disciplina che è di riferimento, e dunque certamente sovraordinata rispetto alla pedagogia.

         Oggi però è chiaro che ciascun punto di vista delle diverse discipline preso individualmente, ma poi anche tutti presi insieme, continua Scurati, non sono sufficienti a consegnarmi tutto il sapere che devo possedere nel considerare i problemi educativi, pur costituendo ciascun punto di vista un elemento irrinunciabile d’indagine e riflessione. Si è affermata, in altre parole, poco alla volta la convinzione che la pedagogia da un lato si sia staccata dalla matrice filosofica per innestarsi sui saperi positivi, onde calare il proprio progetto educativo entro coordinate che, senza rinunciare alla dimensione dell’ideale, siano però tendenti al concreto e all’operativo, più che puramente astratte come quelle metafisiche, e dall’altro lato consista in un complesso insieme di discipline. Da ciò viene il termine di scienze dell’educazione e il disegno di un sapere composito che si esprime appieno solo nell’enciclopedia pedagogica.          

         In questa direzione, sia che nel disegno dell’enciclopedia prevalga un’immagine di un edificio a piani successivi delle discipline, sia a spicchi di un cerchio (ci si riferisce alle indicazioni di R. Hubert [28] , G. Mailaret [29] e A. Visalberghi [30] ), è necessario precisare a) che ciascun membro dell’enciclopedia deve poter realizzarsi con pieno rispetto della sua autonoma logica scientifica, onde ne sia garantita la validità conoscitiva e b) che, di fronte ad una problematica specifica, quell’accostamento iniziale delle discipline nell’immagine dell’enciclopedia, cui si è fatto ora accenno, deve lasciare il passo ad una interconnessione dinamica funzionale a far emergere una struttura di significato unitario da applicare alle specificità del caso. Chi deve guidare la ristrutturazione dell’immagine delle scienze è proprio la pedagogia che, in tal senso, assume una funzione di coordinamento multidisciplinare della ricerca ovvero, come dice l’A. la pedagogia appare come un discorso culturale polistrutturale dinamico intorno all’educazione.

         Sempre in questo solco le direzioni di sviluppo della pedagogia si possono distinguere tra quelle già ampiamente percorse, oggetto delle “grandi tradizioni”, e quelle ancora da percorrere, oggetto delle “tradizioni emergenti”. Al primo settore appartengono: 1) la ricerca filosofica (perché nessun ragionamento sull’educazione può avvenire al di fuori di un contesto fondante metaempirico), 2) la ricerca storica (per la ricostruzione globale dell’esperienza educativa), 3) la ricerca psicologica (secondo due poli, quello dell’utilizzo pedagogico dei risultati della scienza psicologica e quello dell’autonoma analisi psicologica del fatto educativo), 4) la ricerca sociologica (ormai giunta ad una divaricazione come quella psicologica), 5) la ricerca sperimentale (passata da modelli positivistici a più mature forme come la ricerca operativa, pur restando le note preclusioni deontologiche alla piena sperimentabilità del fatto educativo). Al secondo settore appartengono: 6) la ricerca antropologica ed etnografica, 7) la ricerca organizzativa, 8) la ricerca curricolare, 9) la ricerca comparativa (mentre appaiono all’orizzonte nuove direzioni di ricerca come quelle: ermeneutica, biologica, auxologica, semiologia, epistemologica, politologica ecc.).

         Su questo orizzonte la pedagogia svolge un ruolo di riduzione ad unità sia nella prospettiva multidisciplinare, come si è già detto, che in quella di una “competenza che si costruisce, si rinnova, si aggiorna continuamente nel rapporto con la domanda” [31] (in altre parole in quella direzione, già indicata da R. Massa come “clinica” e che appare ancora oggi una via da percorrere e da sviluppare appieno).     

          

7)  Verso una concezione epistemologica delle discipline dell’educazione

 

         Abbiamo visto come in diversi momenti si sono proposti paradigmi diversi della pedagogia, onde avviarne un affrancamento definitivo dalla teoria dello spirito come atto puro di gentiliana memoria. Il primo paradigma proposto è stato quello della pedagogia come teoria dell’educazione (filosofia applicata), ma abbiamo capito che, se si riduce questa disciplina all’appendice terminale di un sistema filosofico, non si può più sottrarre all’apriorismo consequenziale del medesimo, anche in quella veste potenzialmente potente di strumento d’analisi della dinamica “fini - mezzi” che, invece, la rende potenzialmente capace di delineare nuovi valori e di definire nuove sintesi generali di lavoro e ricerca. Il secondo paradigma è stato quello della pedagogia come scienza dell’educazione, ma fin da principio abbiamo dovuto subito ricordare come per gli stessi Autori proponenti si sia trattato più di una prospettiva di sviluppo che di un dato di fatto. I problemi che deve risolvere una scienza (sia nomotetica che idiografica), infatti, riguardano l’individuazione di metodi di controllo sperimentale delle asserzioni che siano definiti preventivamente, replicabili e univocamente comunicabili; tutto ciò cozza inevitabilmente col fatto che la pedagogia come scienza dell’educazione non è solo descrittiva dei fatti, ma (e forse, soprattutto) è teleologico-analitica delle cause.

         Per terzo paradigma si è ripresa la concezione della pedagogia come filosofia dell’educazione, seppur da parte di Autori di orientamento completamente opposto a quello di G. Gentile, ma anche in questo caso si è trovato che una tale definizione si può applicare soltanto ad un settore, per di più neppure centrale, ma parallelo, metodologico, metateorico (sebbene di importanza notevole), con la qual cosa si lascia scoperto tutto il corpo centrale della dimensione normativa, di quella operativa e per finire, di quella della ricerca. In conclusione del nostro sintetico excursus si è brevemente accennato al rapporto tra pedagogia e scienze dell’educazione (intese prevalentemente come scienze autonome) e in questo caso si sono individuate interessanti linee di sviluppo, soprattutto quelle inerenti alla prospettiva clinica. Rimane, però, ancora da sostanziare il senso della disciplina pedagogica tra il coordinamento multidisciplinare da un lato e la ricerca sui fondamenti profondi dell’accadere formativo dall’altro.

         In conclusione perciò si può dire che tutta la materia riferibile all’educazione (intesa come comprensiva di istruzione e formazione) sia strutturata su una pedagogia di tipo teorico che costituisce la dottrina di una visione del mondo (ideologica e dogmatica), tesa ad uno scopo materializzabile nell’affermazione di ideali etici e di fini valoriali mediante opportuni giudizi di valore, una logica deontica [32] e determinazioni normative consequenziali [33] . Tale dimensione teorica, mentre sviluppa legittimamente la ricerca sui significati, è anche coinvolta direttamente nella definizione delle finalità e nella composizione architettonica del curricolo, di cui deve assumere ogni responsabilità [34] , e però si realizza come pedagogia pratica e operativa nella metodologia (studio del metodo d’insegnamento migliore e più proficuo per quel contenuto, in quella situazione, per quell’allievo) e nella didattica (studio delle diverse tecniche didattiche) per riflesso degli assunti teorici. In questa dimensione pratica rientrano, dunque, a pieno titolo, le ricerche sulle diverse morfologie disciplinari, sull’individuazione di obiettivi educativi, didattici e formativi, sul rapporto educativo, sull’organizzazione del gruppo d’apprendimento, sulle strumentazioni e le procedure didattiche ecc..

         La pedagogia teorica, tuttavia, se ha piena legittimità di giudizio, poiché dottrina di una visione della realtà, nell’individuazione di fini e valori, per rivolgersi con cognizione di causa alle diverse caratteristiche del soggetto dell’educazione deve discutere, appropriarsi o in ogni caso tener conto delle acquisizioni realizzate nell’ambito delle scienze dell’educazione (sia quelle naturali che quelle sociali), tutte pienamente autonome nel perseguimento avalutativo del disvelamento del proprio oggetto di studio. Queste scienze, infatti, possono applicare i criteri avalutativi dell’oggettività scientifica ai problemi educativi mediante asserzioni fattuali da convalidare con metodi empirici secondo le regole del metodo scientifico (verificazione/falsificazione), occupandosi principalmente di studiare le caratteristiche individuali e sociali del soggetto dell’apprendimento (crescita, sviluppo, capacità e abilità nelle diverse funzioni ecc.), o dell’ambiente (studio della società, delle organizzazioni, del lavoro ecc.), ma anche in particolare di realizzare ricerche sulla relazione tra fini previsti dalla teoria pedagogica e i mezzi impiegati dalla pedagogia pratica o sulle condizioni per il miglior conseguimento degli obiettivi già individuati.

         In quest’ultimo ambito, infine, possono entrare sia le scienze con i mezzi della ricerca oggettiva, sia la pedagogia operativa con i mezzi della sperimentazione, tenendo conto delle diversità, anche deontologiche, che questi mezzi implicano [35] .

 

 

 

Bibliografia di riferimento

1.     F. Ravaglioli, G. GENTILE E LA SUA SCUOLA, in “La Pedagogia” diretta da L. Volpicelli, Vallardi Milano 1970, vol. VI

2.     A. Visalberghi, PEDAGOGIA E SCIENZE DELL’EDUCAZIONE, Mondatori Milano 1978

3.     R. Fornaca, LA PEDAGOGIA SCIENTIFICA DEL900, Principato Milano 1981

4.     R. Mazzetti, DEWEY E BRUNER, Armando Roma 1973 

5.     G. M. Bertin, RIEPILOGO CRITICO E CONCLUSIONI, in “Scuola e Città” n. 1/2 gennaio-febbraio 1976

6.     E. Garin, CRONACHE DI FILOSOFIA ITALIANA 1900/1943, Laterza Bari 1975

7.     G. Gentile, SOMMARIO DI PEDAGOGIA COME SCIENZA FILOSOFICA, Sansoni Firenze, edizione Opere complete 1982

8.     G. Gentile, TEORIA GENERALE DELLO SPIRITO COME ATTO PURO, Sansoni Firenze, edizione Opere complete 1982

9.     F. Papi, TEORIE E STRUTTURE EDUCATIVE NELL’EPOCA DELLE GRANDI TRASFORMAZIONI, Zanichelli Bologna ‘82

10. N. Abbagnano, A. Visalberghi, LINEE DI STORIA DELLA PEDAGOGIA, Paravia Torino 1957, Prefazione

11. N. Abbagnano, DIZIONARIO DI FILOSOFIA, Utet Torino 1971, lemma Pedagogia

12. A. Visalberghi et Alii, PEDAGOGIA E SCIENZE DELL’EDUCAZIONE, Mondatori Milano 1978

13. G. Giugni, INTRODUZIONE ALLO STUDIO DELLA PEDAGOGIA, Sei To. ‘71

14. R. Laporta, LA DIFFICILE SCOMMESSA, La nuova Italia Firenze 1971

15. G. M. Bertin, EDUCAZIONE ALLA RAGIONE, Armando Roma 1973

16. F. Cambi, MANUALE DI FILOSOFIA DELL’EDUCAZIONE, Laterza Roma-Bari 2000

17. R. Massa, ISTITUZIONI DI PEDAGOGIA E SCIENZE DELL’EDUCAZIONE, Laterza Roma-Bari 1990

18. C. Scurati, PEDAGOGIA, nella collana “Scienze dell’educazione” Mondadori Milano 1999

19. R. Hubert, TRATTATO DI PEDAGOGIA, Armando Roma 1969

20. G. Mialaret, INTRODUZIONE ALLA PEDAGOGIA, Armando Roma 1970

21. F. Bertoldi, CRITICA DELLA CERTEZZA PEDAGOGICA, Armando Roma 1981

22. A. Genco, PEDAGOGIA E CRITICA RAZIONALISTICA, La Scuola Brescia 1983

23. N. Filograsso, GLI OBIETTIVI DELL’EDUCAZIONE, Marsilio Venezia 1979

24. M. C. Costa et Alii, ORIENTAMENTI PER LA SPERIMENTAZIONE DIDATTICA, Loescher Torino 1975

25. E. Becchi e B. Vertecchi, a cura di, MANUALE CRITICO DELLA SPERIMENTAZIONE E DELLA RICERCA EDUCATIVA, Angeli Milano 1988

 

Cattolica, dicembre 2005                                                             Marco Paolo Dellabiancia



[1] F. Ravaglioli, G. Gentile e la sua scuola, in La Pedagogia diretta da L. Volpicelli, Vallardi Milano 1970, vol. VI.

[2] Da A. Visalberghi, Pedagogia e scienze dell’educazione, Mondatori Milano 1978, da pag. 29 a pag 31 e R. Fornaca, La pedagogia scientifica del900, Principato Milano 1981, pag. 33

[3] Cfr. R. Fornaca e S. Di Pol, Op. Cit. e R. Mazzetti, Dewey e Bruner, Armando Roma 1973

[4] G. M. Bertin, Riepilogo critico e conclusioni, in Scuola e Città, n. 1/2 gennaio-febbraio 1976, pag. 85.

[5] G. M. Bertin, Op. Cit. pag. 87

[6] E. Garin, Cronache di filosofia italiana 1900/1943, Laterza Bari 1975, volume II, pag. 450.

[7] Sommario di pedagogia come scienza filosofica, scritto tra 1912 e 1913, consta di due volumi: il primo è rivolto ad esaminare in tre capitoli i fondamenti dell’educazione: 1) l’uomo, la conoscenza e lo spirito; 2) la filosofia, la pedagogia, il metodo e il maestro; 3) le forme dell’educazione. Il secondo analizza la Didattica Generale e Speciale. Si può contrapporre ad un’altra opera pedagogica non parimenti sistematica, ma più sintetica ed emotivamente più sentita, perché raccolta da effettive relazioni tenute ai maestri triestini nel corso magistrale estivo del 1919, dal titolo La riforma dell’educazione.

[8] Teoria generale dello spirito come atto puro, scritto nel 1916, è l’opera che discute sistematicamente il processo dello spirito nella costruzione della realtà. L’A. medesimo, nella prefazione alla II edizione dell’ottobre 1917 lo specifica con queste parole: “Questa Teoria Generale vuol essere una semplice introduzione a quel pieno concetto dell’atto spirituale, in cui deve consistere il nucleo vivente della filosofia …”.

[9] Citato da F. Papi in Teorie e strutture educative nell’epoca delle grandi trasformazioni, Zanichelli Bologna ‘82 a pag. 664.

[10] Da G. Gentile, Sommario di pedagogia come scienza filosofica, Sansoni Firenze edizione Opere complete 1982, Vol. I,  alla pagina n. 113.

[11] G. Gentile, Op. cit. Vol. I, a pag. 119.

[12] G. Gentile, Op. cit. Vol. II, a pag. 11 a pag. 15. 

[13] G. M. Bertin, Il problematicismo pedagogico, in La Pedagogia, diretta da L. Volpicelli, Vallardi Milano 1970

[14] N. Abbagnano, A. Visalberghi, Linee di storia della pedagogia, Paravia Torino 1957, Prefazione pag. XIII.

[15] N. Abbagnano, Dizionario di filosofia, Utet Torino 1971, lemma Pedagogia

[16] A. Visalberghi et Alii, Pedagogia e scienze dell’educazione, Mondatori Milano 1978, pag. 9

 

[17] G. Giugni, Introduzione allo studio della pedagogia, Sei Torino 1971, pag. 14

[18] G. Giugni, Op. Cit. pag. 17

[19] R. Laporta, La difficile scommessa, La nuova Italia Firenze 1971

[20] R. Laporta,  Op. Cit. pag. 33

[21] G. M. Bertin, Educazione alla ragione, Armando Roma 1973, a pag. 75

[22] F. Cambi, Manuale di filosofia dell’educazione, Laterza Roma-Bari 2000

[23] F. Cambi, Op. Cit. pag. 38

[24] F. Cambi, Op. Cit. pag. 40

[25] R. Massa, Istituzioni di pedagogia e scienze dell’educazione, Laterza Roma-Bari 1990

[26] R. Massa, Op. Cit. pag. 7

[27] C. Scurati, Pedagogia, nella collana “Scienze dell’educazione” Mondatori Milano 1999

[28] R. Hubert, Trattato di pedagogia, Armando Roma 1969

[29] G. Mialaret, Introduzione alla pedagogia, Armando Roma 1970

[30] A. Visalberghi, Op. Cit.

[31] C. Scurati, Op. Cit. pag. 11

[32] F. Bertoldi, Critica della certezza pedagogica, Armando Roma 1981

[33] A. Genco, Pedagogia e critica razionalistica, La Scuola Brescia 1983

[34] N. Filograsso, Gli obiettivi dell’educazione, Marsilio Venezia 1979

[35] M. C. Costa et Alii, Orientamenti per la sperimentazione didattica, Loescher Torino 1975 e a cura di E. Becchi e B. Vertecchi, Manuale critico della sperimentazione e della ricerca educativa, Angeli Milano 1988

 

 

  torna ad inizio pagina