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di Marco Paolo Dellabiancia

 

1) Una mappa della struttura disciplinare dell’Educazione fisica

Da alcuni anni la scuola Neoumanista di Educazione fisica sta cercando di impostare anche in questa disciplina scolastica, così come sta avvenendo un po' per tutte le materie, una profonda riflessione epistemologica per fornire i docenti di entrambi i gradi di scuola secondaria di sempre migliori strumenti di comprensione del loro agire educativo. In tal senso fa sicuro riferimento iniziale all'opera di Guido Giugni (cfr. bib. n. 1), forse l'unico pedagogista che si sia occupato con costanza di questa materia fin dai tempi del dopoguerra, già da quando il pregiudizio politico sulla "fascistizzazione" dell'educazione fisica e la vincente cultura materialista avevano prodotto una sistematica e voluta trascuratezza nei suoi confronti.

Prendendo le mosse da questa sicura base pedagogica di partenza, poi, è altresì opportuno fare riferimento a quegli Autori, e non sono pochi, che in tale solco hanno saputo impostare una propria linea di ricerca: penso alle monografie di M. Gori, di R. Tosi, E. Abruzzini, G. Refrigeri e G. Ricci (cfr. rispettivamente bib. n. 2, 3, 4, 5 e 6). Tutte queste opere, infatti, si inscrivono in quel primo progetto, già definito con estrema chiarezza da Giugni nel 1973, volto a "ricercare i fondamenti teoretici che trasformano l'apprendimento motorio da processo di addestramento in processo educativo e presentare l'educazione fisica come aspetto dell'educazione generale in stretta correlazione con tutti gli altri aspetti" (da Presupposti teoretici, pag. 8), ma per di più lo fanno cercando sempre maggior chiarezza e consapevolezza nell'impianto epistemologico della disciplina. L'analisi epistemologica appare oggi, infatti, l'unico strumento di studio capace di far evolvere in senso migliorativo prioritariamente la rappresentazione concettuale della disciplina e secondariamente, a certe condizioni, anche la sua efficacia educativa e la sua efficienza didattica (a certe condizioni nel senso che bisogna disporre poi di iniziative consequenziali di formazione).

L'analisi epistemologica lavora nella direzione di rendere omogeneo e ormai sempre più esplicito e condiviso, analogo a quello di una vera e propria teoria scientifica, il complesso dei concetti fondanti a cui fa riferimento questa disciplina scolastica che, per le caratteristiche della sua primaria origine culturale e del suo sviluppo radicato nelle tendenze e nei bisogni della società civile (cfr. bib. n. 7 e 8), si era fin qui data solo una relativa definizione dei concetti di riferimento, degli strumenti e delle strategie operative, anche se, talvolta e in certi momenti, parve persino una definizione troppo minuziosa e caratteristica di una "scolastica", quando, secondo i ritmi di una ricorrente cadenza storica, la cultura dell'epoca le assegnava nuovi significati e nuovi compiti.

Ora però si presenta alle soglie della nuova scuola dell'adolescente con un ritardo di elaborazione teoretica (e di ordinamento) sulle nuove attese sociali: almeno quelle attese che, individuando le finalità della disciplina nella costruzione dell'identità personale, non si riconoscono facilmente, ad esempio, in una frammentazione dei significati delle esperienze didattiche finalizzate alla costruzione delle capacità e allo sviluppo delle prestazioni. Sembra perciò necessario presentare uno strumento che, pur nell'ampia e pregevole pubblicistica sull'argomento (ci si riferisce agli autori già citati come G. Giugni, G. Refrigeri, M. Gori, R. Tosi, E. Abruzzini, G. Ricci, ma anche a molti altri come a E. Enrile, A. Invernici, I. Perrotto, O. Boni, F. De Vivo, L. Calabrese ecc.), fino ad ora mancava all'opera di sistematizzazione della disciplina: è quanto viene definito nel quadro n. 1. Si tratta di una mappa generale degli elementi a cui attingere puntualmente per controllare il processo educativo nell'ambito di tale disciplina (intesa come il campo epistemico delle diverse materie scolastiche che si occupano di questo medesimo oggetto e che prendono caratterizzazioni e denominazioni diverse nei Programmi nazionali a seconda della fase di sviluppo dell'alunno cui sono rivolte).

Quadro 1: Mappa generale dell'educazione motoria e fisico-sportiva (campo dell'esperienza educativa del corpo e del movimento; educazione motoria; educazione fisica e sportiva scolastica)

Gli assi della mappa definiscono ciascuno un settore nevralgico ed essenziale per la disciplina: così l'asse pedagogico, rispondendo alla domanda "Perché ?", individua dimensioni teleologiche ed assiologiche che danno significato all'atto educativo, e dunque è destinato ad intervenire nella definizione delle FINALITÀ CURRICOLARI dell'educazione fisica e ad esercitare una conseguenquenziale vigilanza sulla coerenza degli altri assi nel perseguimento di dette finalità. L'asse dei contenuti, rispondendo alla domanda "Che cosa ?", fornisce I MATERIALI DA UTILIZZARE NEL PERSEGUIMENTO DELLE FINALITÀ, materiali abitualmente da scomporre e ricomporre secondo le regole e le strategie che emergono dai restanti due assi. Tuttavia, proprio per corrispondere alle indicazioni della Psicologia dell'adolescente, ci si accorge che quei contenuti della disciplina, così fortemente intrisi di significato culturale sedimentato storicamente, costituiscono nella loro integralità un patrimonio complessivo di esperienza educativa, tanto profondamente capace di rispondere alle esigenze psicologiche dell'adolescente da ripristinare il senso del rito e del mito anche nella nostra società tecnologica postindustriale, caratterizzata dalla caduta dei valori. Da qui l'estrema cautela alla frammentazione del contenuto (e del significato) nell'obiettivo operazionalizzato che tende a differenziare notevolmente l'insegnamento tra i due gradi di scuola, primario e secondario.

L'asse metodologico e didattico, rispondendo alla domanda "Come ?", imposta la problematica dell'organizzazione dei contenuti più adeguata all'efficienza educativa della disciplina. In questo settore, mentre si è realizzato un notevole lavoro di ricerca nella ANALISI DELLE ABILITÀ, di chiarificazione nelle GERARCHIE DI OBIETTIVI, di presa di coscienza con L'ANALISI DEL COMPORTAMENTO DOCENTE, perseguendo con immediatezza nella didattica la DIMENSIONE METACOGNITIVA, ancora risultano da approfondire adeguatamente altre dimensioni. Tra esse in particolare è da verificare il rapporto tra una didattica lineare per obiettivi (che non ha modificato sostanzialmente la precedente didattica lineare per contenuti, caratteristica da sempre della disciplina, cui ha soltanto aggiunto una motivazione più esplicita in direzione funzionale rispetto alla motivazione formale, tradizionalmente prevalente) e quella per concetti. Non sembra, infatti, che si possa attuare semplicemente la sostituzione dell'una con l'altra, accertato il fatto che la dimensione cognitiva e poi anche quella metacognitiva dell'educazione fisica non si devono applicare a concetti, idee o conoscenze soltanto, ma a percetti corporei, vissuti psicosomatici e memorie sensomotorie.

Da ultimo l'asse delle scienze dello sviluppo e dell'apprendimento, rispondendo alla domanda "A chi ?", propone modelli di riferimento su cui definire e controllare l'azione educativa per il conseguimento dei livelli di competenza indicati nel programma nazionale: GLI OBIETTIVI DIDATTICI. 'E il settore più in movimento, se si pensa che anche la scienza auxologica (che rappresenta da sempre il versante più statico delle scienze dell'educazione occupandosi delle determinanti morfologico-costituzionali) ha di recente subìto una definitiva "rivoluzione copernicana" con gli studi di J. M. Tanner. E così a maggior ragione per le altre scienze dello sviluppo, in grande fermento; tra esse ancora senza un vero statuto scientifico, ma di grande importanza per la disciplina sono certamente le ricerche sulle capacità motorie: questo intero settore, tuttavia, deve ancora ricevere un adeguato riconoscimento epistemologico.

Questa mappa disciplinare può ben svolgere differenti funzioni, e comunque in questo ambito vanno evidenziate le dimensioni valutatorie generali riferite al progetto educativo della scuola o agli orientamenti valoriali del gruppo docente: può, così, costituire il riferimento per quella forma di valutazione "ante rem" ("Apprezzamento" la chiamerebbe G. De Landsheere) che ciascun docente compie con riferimento alle interpretazioni principali della materia nel momento in cui intende progettare il curricolo disciplinare, venendo così a rendere evidente quanto le opzioni personali influiscano sul sapere (e in particolare sul saper progettare) degli insegnanti.

E poi può valere, ancora, per la valutazione scolastica "in re" e "post rem", cioè quella riferita all’apprendimento dell’alunno e all’insegnamento dell’insegnante. Gli indicatori dell'asse pedagogico, infatti, confrontano gli obiettivi in itinere o conseguiti con le finalità educative programmate; quelli dell'asse metodologico gli obiettivi con i metodi, le strategie e i mezzi; quelli dell'asse delle scienze dell'educazione gli obiettivi conseguiti con quelli programmati; l'asse dei contenuti offrendo, infine, come ci dice la teoria della programmazione, la materia per operazionalizzare gli obiettivi (e quindi per descriverli non ambiguamente, ma in modo adatto per la loro misurazione), propone così una verifica di congruità tra i contenuti utilizzati e gli obiettivi conseguiti.

Portando avanti conseguentemente questa linea, infine, si può dire che la mappa aspira a divenire anche il sistema stabile di confronto e verifica per la formazione e l'autoformazione del docente. Ma più semplicemente la mappa è qui introdotta per avviare le forme di comprensione globale dell'azione educativa. Disponendo utilmente di questa mappa in fase progettuale o nello sviluppo dell’insegnamento o finale, non sarà difficile, infatti, cogliere le principali valenze formative insite peculiarmente nella disciplina, né a chi progetta e insegna, né a chi decide sull’indirizzo da dare all’istruzione e all’educazione della popolazione.

2) Analisi delle finalità disciplinari nella Scuola Secondaria di II grado

Si sa che, mentre il programma nazionale indica mete educative e materiali didattici genericamente adeguati alla fase di sviluppo degli alunni di una certa fascia scolastica su tutto il territorio nazionale, riferendosi a criteri pedagogici e conoscenze scientifiche largamente condivisi, il gruppo docente di una scuola deve poi passare a contestualizzare queste indicazioni generiche alle situazioni di fatto sia della specifica scuola e del suo specifico curricolo di studi, sia della cultura locale e dell'organizzazione del lavoro presente nell'ambiente circostante (primo tempo), sia delle caratteristiche del soggetto discente che si ha di fronte in carne ed ossa (secondo tempo). Per far ciò si realizza la programmazione educativa e didattica (cfr. bib. n. 9), un processo che porta i docenti (nei due tempi già indicati) sia individualmente che collegialmente ad elaborare un progetto condiviso ed unitario di lavoro, una vera e propria anticipazione descrittiva delle attività didattiche e degli apprendimenti degli alunni.

La linea di tendenza espressa nell'attuazione di un tale processo nella scuola media (che al fine di perseguire l'unità dell'insegnamento, fin dai primi momenti della sua istituzione, si è sempre impegnata in questo ambito della professionalità dei propri docenti) va dall'iniziale accostamento dei contenuti tra le diverse discipline (tuttavia con la progressiva caduta della ricostruzione storico-culturale ricorrente tra i cicli scolastici, tipica del sistema scolastico e dei curricoli canalizzati gentiliani, questa strategia è sostanzialmente saltata) ad un più moderno coordinamento metodologico, base anche dell'approccio multidisciplinare e, in prospettiva, tramite un'adeguata formazione dei docenti sull'epistemologia disciplinare e della sperimentazione, anche potenzialmente interdisciplinare.

In quest'ultima direzione, perché si possa realizzare il coordinamento fin dal primo tempo della programmazione educativa (che darà così luogo al Piano Educativo d'Istituto) è necessario che le differenti discipline facciano emergere un canovaccio interno secondo la propria struttura curricolare, cioè siano costituite da 1) Finalità educative; 2) Obiettivi di apprendimento; 3) Contenuti; 4) Metodi e strategie; 5) Verifica e valutazione. A questo punto, definite collegialmente le scelte fondamentali (che costituiranno i riferimenti principali del PEI) prima dell'inizio delle lezioni, si può partire con la seconda fase della programmazione didattica da avviare quando si sia in presenza degli alunni, giacché in questa secondo momento si definisce l'intervento didattico sul gruppo-classe in vista del contratto formativo personalizzato del singolo allievo, con le necessarie forme d'individualizzazione (per recupero o sviluppo) o di differenziazione (per soggetti in situazione di handicap o a rischio di dispersione) e la valutazione formativa. Questa seconda fase si prolunga per tutto l'arco dell'anno scolastico fino alla conclusione della valutazione finale (dell'apprendimento dell'alunno e dell'insegnamento realizzato dalla scuola).

Un sicuro riferimento per l'analisi della struttura curricolare disciplinare è costituita dalle indicazioni dei programmi nazionali, e per la scuola secondaria superiore sia quello vigente (ex Dpr 908/82) che quello sperimentale (Commissione Brocca). Questi programmi segnano, infatti, un profondo progresso da quelli precedenti (risalenti al '52) che consistevano in una lista sintetica di indicazioni metodologico-didattiche posta in capo ad un elenco di esercitazioni e di contenuti distinti per anno di corso, interpretabili soltanto in modo pedestremente esecutivo (da un corpo docente in gran parte di professori "aspecifici", cioè reclutati senza il possesso del titolo di studio specifico). I programmi attuali, invece, sono stati definiti secondo una struttura curricolare, quando già le conoscenze pedagogiche, avviate dalla diffusione della "Scuola attiva" prima e della "Teoria dell'Istruzione" poi, avevano prodotto l'effetto di far intraprendere una revisione epistemologica anche a questa disciplina scolastica e a fronte di un corpo docente ormai interamente formato dall'Isef, in possesso cioè delle competenze necessarie per realizzare la programmazione educativa e didattica.

Tra i vari elementi costitutivi dei programmi le finalità indicano i compiti assegnati a quella determinata disciplina, sia in senso generale nel quadro dello sviluppo dell'allievo con riferimento alla caratteristica fase evolutiva attraversata, sia in senso più specifico nei rapporti con tutte le altre materie scolastiche responsabili di quel curricolo di studi. Hanno perciò una funzione molto importante nel definire il campo d'intervento della disciplina e nell'individuarne anche il vero significato e l'appropriato valore formativo; da questa funzione discende una forte cogenza gerarchica sugli altri elementi della struttura curricolare, sia nei confronti degli obiettivi, che dei contenuti, dei metodi e delle forme di verifica e valutazione. Per la Commissione Brocca le finalità assumono "il grado massimo di prescrittività, in quanto costituiscono il progetto culturale ed educativo, nelle linee più generali, all'interno delle quali i docenti sono chiamati ad operare" (cfr. bib. n. 10). Proprio per tale motivo le finalità rivestono anche una preminenza d'ordine metodologico, nel senso che oltreché indirizzare l'operatività didattica alle mete finali, prescrivono anche come perseguire queste mete.

Tuttavia per esplicare davvero questa funzione bisogna che le finalità siano congrue alla situazione organizzativa della disciplina in quella scuola (programmazione educativa) e, prima ancora, siano congrue allo scenario disegnato dall'ordinamento degli studi (pianificazione statale), perché il perseguimento delle finalità indicate nei programmi è realizzato mediante due processi fondamentali: da un lato con la costruzione dei percorsi didattici nella programmazione, dall'altro con l'approntamento delle condizioni organizzative per l'attuazione delle esperienze, per l'esplicazione del metodo, per la configurazione del clima di lavoro, per la costruzione delle regole di comportamento ecc., tutti elementi che possono assumere nei fatti ancora più pregnanza formativa ad un bilancio educativo generale dell'intenzionalità progettuale del singolo o del gruppo docente.

Si tratta di un bilancio di fattibilità a cui almeno i programmi sperimentali dovrebbero essere pur sottoposti, prima di entrare nell'uso generalizzato (ci si chiede perciò se in tal senso sono stati verificati e validati i programmi già sperimentali di Educazione fisica del Biennio prima di venir estesi agli istituti tecnici). Il problema di esprimere finalità realmente praticabili e tuttavia capaci di stimolare in modo prospettico il processo di insegnamento/apprendimento vive tutto nel tentativo di sfuggire a due opposti eccessi: da un lato, pur evitando la genericità assoluta (ad esempio delle due finalità dei programmi vigenti, che sono adatti a qualunque disciplina scolastica), non si deve restringere l'orizzonte dell'intervento educativo ad aspetti troppo specifici della materia o della fase di sviluppo dell'allievo, come nei primi due fini del Programma Brocca per il Biennio, dove del tutto arbitrariamente si sottintende che la disciplina può favorire l'armonico sviluppo dell'adolescente solo quando migliori le sue qualità fisiche (allora che senso avrebbe far partecipare alla lezione anche gli esonerati dalle esercitazioni pratiche?), oppure che la coscienza della corporeità serve all'adolescente per superare le difficoltà e le contraddizioni tipiche dell'età, e non costituisce, invece, una disposizione fondamentale dell'essere umano per un'alta qualità della vita ad ogni età (per le concezioni idealistiche, fenomenologiche ed esistenzialistiche la coscienza della corporeità fonda la coscienza dell'esistenza personale).

Dall'altro lato, del resto, vanno evitate le affermazioni che all'opposto sono tese ad assegnare alla materia compiti realisticamente inattuabili (contando sulle 60 ore annuali e sulla disponibilità consueta di impianti e strumentazioni), come accade per la tendenza ad assegnare alla disciplina il compito di determinare lo sviluppo delle capacità motorie (e in particolare quelle condizionali o del potenziamento fisiologico), quando invece si tratta il più sovente di "subire" semplicemente gli effetti dell'accrescimento corporeo e delle abitudini culturali già fissate dalla famiglia. Meglio sarebbe allora restare al tradizionale apprendimento delle abilità, certamente espressione sia di capacità condizionali che di quelle coordinative, ma soprattutto in quanto realistico oggetto di intervento educativo e didattico su cui è possibile esercitare l'effettivo controllo della qualità dell'insegnamento.

In quest'ultima direzione possono però essere valorizzate le finalità educative che prevedono di usare l'individuazione delle capacità anche condizionali al fine di farle conoscere ed anche di far conoscere i metodi del loro sviluppo. In questo senso si tratta più semplicemente di ricondurre il discorso delle capacità agli aspetti cognitivi e metacognitivi, favorendo così la presa di coscienza sulla propria maturazione corporea e la conoscenza delle tecniche caratteristiche della disciplina.

3) Analisi degli Obiettivi Didattici Generali

Per buona parte il passaggio dai vecchi programmi d'insegnamento di Educazione fisica (del '52) ai nuovi della scuola secondaria di II grado, sia vigenti (ex Dpr 908/82) che sperimentali (Commissione Brocca per il Biennio e per il Triennio), si è reso evidente mediante la transizione da una programmazione per contenuti a quella per obiettivi operazionalizzati. Si sono, in altre parole, interposti tra le finalità, cioè le mete che intende conseguire la disciplina scolastica, e i contenuti, cioè i mezzi culturali che la disciplina utilizza per perseguire le proprie finalità, per la prima volta in modo consapevole gli obiettivi, cioè la descrizione di quelle prestazioni nello svolgimento dei compiti attinenti ai contenuti che si attendono come segno dell'avvenuto apprendimento nella direzione indicata dalle finalità.

In questo senso gli obiettivi si distinguono nettamente dagli altri elementi della stuttura curricolare della disciplina perché hanno una precisa formulazione secondo un proprio e specifico paradigma. In realtà l'Educazione fisica, per il fatto di occuparsi in modo prevalente di "saper fare e saper essere" più che di pura conoscenza, ha sempre dovuto misurare il livello di competenza raggiunto nelle abilità motorie desumendolo dalle relative prestazioni e il livello di assunzione e persistenza degli atteggiamenti valoriali incorporati inferendolo dalle consequenziali condotte, per cui si è sempre data dei criteri e dei livelli descritti in modo concreto nella progettazione degli itinerari di perseguimento dei fini, e non poteva non essere così, anche se in modo non sempre pienamente consapevole.

L'obiettivo per essere operazionalizzato, si è detto, deve essere espresso con un verbo di azione (performativo) all'infinito che designa l'operazione richiesta dal compito (indicatore), deve portare la descrizione delle condizioni in cui si svolge il compito (descrittore) mediante un avverbio, una locuzione avverbiale o altra determinazione specificante o una frase modale e, per concludere, deve essere definito dal livello di accettabilità della soluzione del compito (criterio di verifica) con l'indicazione della misura cui fare riferimento per considerare riuscita la prova. In tale maniera l'obiettivo risulta perfettamente identificato e perciò comunicabile in modo non ambiguo, permettendo in altre parole la sua precisa rilevazione; tutto ciò, dunque, assume una certa importanza per poter valutare l'apprendimento e, conseguentemente, l'insegnamento; poiché il perseguimento delle finalità è controllabile, in modo oggettivo, soltanto mediante la misurazione degli obiettivi conseguiti.

Ma l'operazione di "obiettivazione" delle finalità può indurre il corpo docente ad espungere quelle dimensioni che risultano difficilmente oggettivabili, come ad esempio tutta l'area degli atteggiamenti, delle disposizioni e degli orientamenti di valore, i "saper essere", per favorire le dimensioni più direttamente osservabili e misurabili, come le conoscenze e le abilità. La conseguenza immediata di una tale riduzione non è la caduta formativa di questo settore valoriale, intrinsecamente connesso all'atto educativo e dunque non scorporabile anche volendolo, ma più semplicemente che il docente rinuncia a sottoporlo a controllo sia nell'agire dell'alunno che in quello proprio, in definitiva rinunciando a rendersene coscientemente e progettualmente responsabile.

Nell'ambito dei "saper fare", ancora, il docente può ricavare gli obiettivi didattici scomponendo le abilità più generali secondo due differenti modalità: la prima attua una scomposizione che si mantiene sul medesimo livello tassonomico, frammentando le abilità finali nelle componenti e sottordinate (come fa B. Mantovani per la scuola media in bib. n. 11 e 12) e proponendone la ricomposizione in fase di progettazione e attuazione del processo di insegnamento. Questa modalità sicuramente offre un progetto didattico che rimane nell'ambito dell'apprendimento motorio dell'alunno, ancora controllabile in larga parte dalla scuola.

La seconda invece scompone le abilità finali accedendo al livello tassonomico sottostante delle capacità/qualità, quali componenti costitutive delle abilità. Ma così facendo propone un progetto didattico fondato su un "ambiente", quello dello sviluppo corporeo, pressoché incontrollabile dalla scuola. In tal senso, quindi, va anche a verificare dimensioni su cui non ha la possibilità di intervenire in fase progettuale e, dunque, a valutare con criteri non pertinenti alla propria azione didattica, e perciò casuali, elementi "non banali" (secondo la terminologia di F. Bertoldi in bib. n. 13) ovvero non casuali, con l'effetto di assegnare un giudizio (di profitto) allo sviluppo (naturale e culturale) della persona.

Se si osservano gli obiettivi didattici generali dei programmi di educazione fisica per la scuola secondaria di II grado vigente e sperimentali, si può subito cogliere un progressivo definirsi in direzione più razionale dell'impianto epistemologico disciplinare: mentre tra gli obiettivi del primo testo, infatti, compaiono ancora confusi per veri obiettivi sia settori di contenuto che finalità, gli altri (scritti quasi un decennio dopo) sono molto più puntuali e accorti nel cogliere le fondamentali operazioni della disciplina sia per i concetti espressi, sia per il lessico usato.

'E cosa acquisita ormai, infatti, che anche l'Educazione fisica, come le altre discipline scolastiche, vada considerata un sistema simbolico-culturale e, in particolare, quello che struttura unitariamente concezioni, significati e tecniche del corpo nell'azione e nel gesto. La descrizione di un tale sistema si fonda su 4 elementi: 1) Contenuti, 2) Operazioni, 3) Metodi e 4) Linguaggi e, in particolare, le operazioni, al pari di quelle delle altre materie, vanno messe in relazione a 4 diverse dimensioni: 1) Conoscenze, 2) Abilità, 3) Atteggiamenti e 4) Metaconoscenze. Quest'ultima, poi, torna ad assumere, col Contratto formativo, proposto nella Carta dei Servizi, il giusto ruolo trasversale su tutte le altre che aveva già tenuto nell'Idealismo gentiliano.

E tuttavia all'impostazione neoumanista la normatività espressa negli obiettivi relativi alle qualità/capacità condizionali e coordinative del programma del Biennio non appare validamente fondata sia in relazione a criteri pedagogici, come sopra già ampiamente discusso, perché basata sullo sviluppo e non sull'apprendimento dell'allievo, sia in relazione alle indicazioni offerte dalla scienza auxologica applicata alla disciplina (cfr. bib. n. 14), mentre rimane comunque la necessità di far perseguire la presa di coscienza sull'andamento del proprio sviluppo corporeo al singolo allievo. Perciò si propone di estendere anche al Biennio la definizione adottata nel Triennio: "lo studente deve dimostrare di essere consapevole del percorso effettuato per conseguire il miglioramento delle capacità".

Ma poi, più in generale, esiste il problema della materializzazione delle finalità, nel senso che ciò che non è oggettivabile, misurabile, controllabile, descrivibile nella programmazione e che però quasi sempre rappresenta anche quanto di più importante, valido, significativo e prospettico la disciplina può assumere, tutto ciò deve continuare ad essere perseguibile e non finire messo da parte dal "ritualismo programmatorio". In tal senso l'individuazione degli Obiettivi, la progettazione degli Itinerari e la costruzione delle Unità didattiche devono pur restare degli strumenti di formalizzazione nelle mani dei docenti, con la funzione di rendere controllabile e prevedibile il processo d'insegnamento, ma devono concedere, poi, la possibilità di un (anche ampio a seconda delle necessità formative) adattamento nella fase di realizzazione condivisa dell'esperienza educativa, quando cioè l'insegnante provoca la creazione dei significati e dei valori nell'atto d'apprendimento dell'alunno.

E, parimenti, anche la frammentazione eccessiva dell'esperienza educativa per effetto della scomposizione delle abilità generali nelle abilità componenti o nelle qualità/capacità infrastrutturali attuata nella programmazione dell'insegnamento va contrastata secondo quanto affermano i programmi del Triennio, là dove dicono che "gli obiettivi, solo in quanto sostanziati dalla continua richiesta della consapevolezza e finalizzazione dei procedimenti didattici, ..., consentono il raggiungimento delle finalità indicate. Essi devono essere considerati non come frammentazione delle attività e dei processi loro connessi" o come pure prestazioni attese a cui commisurare il profitto dell'allievo, ma come potenti mezzi capaci di unificare e dare un senso e una prospettiva all'apprendimento dell'alunno e alla sua valutazione.

4) Analisi dei processi di Verifica e Valutazione dell'apprendimento

Il primo concetto da tener presente quando si affronta quest'argomento è la distinzione di significato tra i due termini: verificare, infatti, vuol dire misurare una delle dimensioni coinvolte nel fenomeno dell'educazione scolastica, mentre valutare vuol dire attribuire un valore a quella misura. Il secondo concetto da considerare è che nell'ambito dell'educazione generalmente si possono (e si devono) valutare l'apprendimento dell'alunno, ma anche l'insegnamento del docente e, per non voler andare oltre, pure l'intervento della scuola nel suo complesso (il curricolo scolastico offerto), come la Carta dei Servizi scolastici ormai impone. In tal senso, restando fermi all'apprendimento dell'alunno, ma con riferimento anche agli altri tipi di accertamento, la verifica è una questione di adeguatezza nella scelta dell’unità di misura e di correttezza nell'esecuzione della misurazione sulle differenti attività che caratterizzano l'educazione scolastica dell'allievo, mentre la valutazione è un problema di scelta dei criteri in base ai quali dare un significato compiuto a quei dati che sono stati già ricavati con la verifica.

Ora è necessario vedere su quale oggetto si esercita la verifica. Abbiamo già individuato nell'Educazione fisica un sistema simbolico-culturale che sviluppa le sue caratteristiche finalità educative realizzando conoscenze, abilità, atteggiamenti e consapevolezze valoriali nelle tecniche del corpo impegnate nell'azione e nel gesto; in questa materia scolastica, dunque, conoscenze, atteggiamenti e prese di coscienza si strutturano prevalentemente nel corso e per effetto dell'apprendimento delle abilità motorie, mentre a loro volta le abilità ricevono significato e valore dai processi di conoscenza, dall'espressione degli atteggiamenti e dallo sviluppo delle consapevolezze dell'allievo in relazione ad esse.

In particolare, poi, la presa di coscienza e la conseguente consapevolezza dell'allievo, esercitate anche soltanto in occasione dell'apprendimento di una specifica abilità, possono diventare un modello generale di trasferimento metacognitivo di conoscenze e abilità metodologiche e di investimento motivazionale che promuove la costruzione di atteggiamenti, perciò non solo interessano questa materia ma anche tutte le altre e in una qualche misura anche l'intervento educativo dell'intera scuola (tanto che vi si dovrebbe offrire un'attenzione specifica per le iniziative di educazione alla salute, codificata e precisata fin dal PEI e dalle caratteristiche del Contratto formativo). In senso generale la specificità della disciplina, dunque, è rappresentata dal trattamento educativo delle abilità motorie, mentre per le altre tre dimensioni dell'operatività disciplinare i concetti di riferimento sono ampiamente mutuabili e comuni a tutte le altre discipline del curricolo scolastico, fatta salva la peculiarità costituita dall'oggetto.

Nella verifica dell’apprendimento delle abilità motorie, dunque, certamente la prima forma di accertamento è quella di misurare la prestazione finale, intendendo con tale termine, come generalmente si fa, la rilevazione oggettiva del risultato dell'azione dell'alunno (estensione del salto, durata dell'esecuzione, distanza di percorrenza, numero di ripetizioni ecc.) espressa nel corso delle diverse attività e dei vari compiti motori. Ma la rilevazione quantitativa del risultato (per il docente) non è sempre applicabile ad ogni compito motorio e (per l'allievo) da sola dice ancora troppo poco a chi ha, invece, bisogno di conoscere il massimo possibile della propria azione per migliorarla. E allora una seconda forma di verifica consiste nell'individuare la competenza esecutiva mediante l'osservazione di elementi che sono stati definiti preventivamente come sicuri indici del possesso di quell'abilità motoria.

Dalla connessione delle due modalità viene senz'altro la possibilità di determinare con grande precisione una verifica puntuale non solo del risultato finale ma anche dell'abilità in corso di apprendimento. Se, però, il docente non ha problemi ad osservare il gesto fatto dall'allievo: qualunque gesto, anche quello non presente nella propria esperienza motoria (che rimane comunque un riferimento di base imprescindibile per gran parte delle competenze da insegnare/osservare), perché con l'analisi dell'abilità (cfr. bib. n. 15) può facilmente crearsi i riferimenti osservativi più adeguati per la verifica della competenza nella soluzione del compito motorio, certamente con questa seconda modalità di accertamento si apre, volendo dare un senso al Contratto formativo e all'apprendimento delle dimensioni metacognitive della disciplina, il problema di mettere nelle condizioni l'allievo di sapersi osservare e, soprattutto, di saper mettere in relazione l'immagine del gesto che intende compiere (un'immagine mentale ancora solo costruita con l'immaginazione) con tutto quel complesso di percezioni e memorie sensomotorie (realmente vissute e incorporate) che stanno progressivamente strutturando, parzialmente in forma automatica e parzialmente in forma volontaria, il controllo del programma (schema) del nuovo movimento (cfr. bib. nn. 16 e 17 per il concetto di schema).

Si tratta allora di costruire buone basi di rappresentazione del proprio corpo in azione nelle differenti abilità, con le necessarie basi percettive e mnestiche sensomotorie ricodificate sia iconicamente che verbalmente dal docente mentre insegna (cfr. bib. n. 18 con esempi di molte modalità d'informazione). Ma spesso non basta, perché il corpo dello studente adolescente è talvolta ancora in pieno sviluppo sul piano fisico e certamente in via di ristrutturazione sul piano psicologico (per sé) e sociale (per il riconoscimento dell'altro generalizzato), perciò sfugge ad una rappresentazione mentale stabilizzata. Allora diviene interessante stimolare la continua presa di coscienza del proprio corpo mediante l'organizzazione di forme di verifica reciproca tra alunni col lavoro a coppie e in piccolo gruppo (cfr. bib. n. 19).

In letteratura si trovano numerosi strumenti per la verifica della prestazione, tuttavia si tratta prevalentemente di test di accertamento delle capacità condizionali (ora anche delle coordinative) che determinano una indebita riduzione dell'oggetto educativo (dalle abilità alle capacità componenti delle abilità, cfr. bib. nn. 20, 21 e 22). La caratteristica dei test è di avere un compito descritto in modo non ambiguo e soprattutto valido ed affidabile nel misurare proprio ciò che si intende verificare anche in tempi diversi; inoltre i test sono corredati da una tabella o un grafico delle prestazioni e dei punteggi che permette di avere subito una prima valutazione di merito.

Accanto ai test, però, la pratica scolastica ha da sempre utilizzato le prove di verifica, strumenti di misurazione della prestazione finale e insieme di osservazione della competenza esecutiva che risultano ampiamente adattati alle concrete realtà ambientali degli attrezzi disponibili e degli impianti praticabili dalla scuola e, soprattutto, adeguabili al tipo e al livello d'apprendimento effettivamente realizzato da quel gruppo di allievi, perché direttamente ideati dal docente medesimo che ha condotto l'insegnamento: come i circuiti a stazioni o i percorsi attrezzati stanno a dimostrare. 'E importante, poi, rendersi conto che utilizzando le prove di verifica basate sull'osservazione strutturata delle competenze tra alunni si può realizzare una forma notevole di valutazione formativa dei processi di apprendimento o dei prodotti parziali. Basta infatti predisporre le schede di rilevazione che dovranno essere utilizzate dagli alunni vicendevolmente, con la successione dei compiti di apprendimento impostati nell'itinerario didattico utilizzato, per indurre lo sviluppo della capacità di comprendere i propri errori correggendo quelli dei compagni (cfr. bib. n. 19).

In tal senso le caratteristiche positive delle prove sono proprio il contrario delle caratteristiche positive dei test: da un lato oggettività assoluta ma talvolta non rappresentativa dell'apprendimento (ecco perché si passa al livello infrastrutturale delle capacità, perché solo così si è sicuri di coglierne comunque l'oggetto), una discrepanza già emersa col problema di trasferire lo sviluppo della capacità all'abilità fin dalla fase iniziale d'insegnamento. Dall'altro lato, invece, si ha una significatività completa (incorporata, si potrebbe dire) per l'apprendimento realizzato ma non oggettiva o condivisa da tutti. Non dovrebbe essere impossibile, tuttavia, accumunare le caratteristiche dei due strumenti. Certo è necessario che un'Autorità (l'Ispettorato di Educazione fisica per tutto il territorio nazionale, un Irrsae per la sua regione, o anche un Centro studi, un'Associazione di insegnanti per la propria zona d'influenza ecc.) si faccia carico di avviare il processo di ricerca con la definizione standardizzata degli obiettivi di apprendimento e delle prove di verifica (come ha fatto il Coni con i Cas per le proprie finalità).

Sempre che interessi a qualcuno migliorare la qualità della scuola anche in questo settore, perché gli esempi che abbiamo sotto gli occhi come il progetto Prometeo, il progetto REDIS, le ricerche di Pellerey a Trento e a Treviso, per far riferimento alle scuole superiori e dopo tutte le travagliate esperienze per le medie (ricordo solo il lavoro di Gattullo e Giovannini da un lato e la strutturazione del Q3 nel nuovo strumento di valutazione dall'altro), non sono proprio confortanti: generalmente non sussiste alcun rilevamento nei confronti dell'Educazione fisica e quando questo c'è, per forza di cose, come nel Q3, è tutto da dimostrare che questi sia poi davvero significativo. E conseguentemente dobbiamo aspettarci che anche l'istituzione del Sistema Nazionale di Valutazione vada in tale direzione.

La valutazione, allora, è attribuzione di un significato ai dati raccolti con la verifica principalmente secondo tre differenti criteri: mettendo a confronto i dati dell'ultima verifica con quelli delle precedenti (principio ipsativo o idiografico); mettendo a confronto i dati della verifica di un soggetto con i dati relativi alla medesima verifica di altri soggetti di riferimento (principio normativo o nomotetico); mettendo a confronto i dati della verifica con un parametro di riuscita relativo al compito definito in precedenza (principio criteriale o omologico).

Per il primo principio c'è da mettere in evidenza come la valutazione sia sempre un processo che deve rilevare la situazione di partenza, per poter poi definire, al termine dell'insegnamento, l'apprendimento effettuato come progresso da tale posizione iniziale. Per il secondo, invece, si impone un confronto con le acquisizioni degli altri alunni; per i test codificati dal Coni addirittura sono disponibili le distribuzioni "normalizzate" (in percentili) presumibilmente dell'intera popolazione italiana da 11 a 14 anni (cfr. bib. n. 21). In questo secondo modo, però, le caratteristiche dello strumento statistico mi daranno comunque una distribuzione dove ci saranno sempre quelli meno capaci e quelli più capaci. Può darsi che il docente non voglia utilizzare, almeno nella resa all'alunno, un tale strumento. E allora può essere utile una distribuzione per tre o più fasce di livello, dove si avranno raggruppamenti di alunni e perciò anche il meno abile potrà condividere con altri la sua condizione.

Con il terzo principio, poi, si introduce un criterio di riuscita che dovrebbe corrispondere al criterio di verifica nella descrizione dell'obiettivo operazionalizzato così come è stato definito nel precedente paragrafo sull’analisi degli obiettivi in Educazione fisica. Tale elemento discriminativo dell'avvenuto apprendimento (secondo la regola del Mastery learning) va desunto, come dice Calonghi, "specificando almeno il livello minimo" della prestazione oppure "indicando quale debba essere una esecuzione accettabile" per la rilevazione della competenza (cfr. bib. n. 23) nel corso della programmazione anche individualizzata. In questo caso è possibile conseguire il risultato che tutti gli alunni superino il criterio di riuscita (pur restando alcuni più modesti rispetto ad altri) godendo degli indubbi benefici del successo anche per il prosieguo dell'attività.

Rimane ora da dire che è solo il docente, dopo aver concordato i criteri coi colleghi nel Consiglio di classe ed averli comunicati e discussi con alunni e genitori, che può realizzare la giusta mescolanza di questi tre principi per rendere la valutazione promozionale della personalità dei suoi allievi.

Biblio ed emerografia:

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  2. M. Gori, I contenuti dell'educazione fisica, SSS Roma s. d.
  3. R. Tosi, Introduzione all'approccio tassonomico nella motricità educativa, Montefeltro Urbino 1981.
  4. E. Abruzzini, Educazione fisica e programmazione scolastica, QuattroVenti Urbino 1988.
  5. G. Refrigeri, Scienza e pedagogia dell'educazione fisica, Giunti e Lisciani Teramo 1989.
  6. G. Ricci, Fondamenti epistemologici per la didattica dell'educazione fisica, Montefeltro Urbino 1991.
  7. F. De Vivo, Educazione generale ed educazione fisica, in "Nuova Paideia" n. 2/3 di Maggio/Agosto 1986, il paragrafo "Un problema ineludibile: il rapporto scuola/società" pag. 16 e seguenti.
  8. G. Giugni, L'educazione fisica nei programmi d'insegnamento della scuola italiana, in "Annali della P. I." n. 2 del Marzo/Aprile 1992, in particolare il paragrafo "La ginnastica come disciplina d'insegnamento" pag. 147 e seguenti.
  9. G. Giugni, L'educazione fisica e sportiva nel contesto della programmazione educativa, in "Didattica del movimento" n. 23 e 24 del febbraio 1983.
  10. AA. VV., Piani di studio della scuola secondaria superiore e programmi dei primi due anni. Le proposte della Commissione Brocca, in "Studi e Documenti degli Annali della Pubblica Istruzione" Le Monnier n. 56 1991, a pag. 93.
  11. B. Mantovani, Educazione fisica anni '90, Edi-Ermes Milano '91
  12. B. Mantovani, Azione Gesto Sport, Edi-Ermes scuola Milano '94
  13. F. Bertoldi, Ragioni necessità e limiti di una didattica programmata e Ai confini dell'apprendimento, in "Il tempo della scuola", Anno I, genn. '91 e seg.
  14. Più che alle opere di numerosi Auxologi già diffuse nella letteratura psicopedagogica (come V. Oddone, P. Royer, J. C. Pineau) qui si fa riferimento alla ricerca di P. Hirtz, Lo sviluppo delle capacità coordinative nell'età scolare e possibilità del loro miglioramento, e La coordinazione nell'età puberale, in "Didattica del Movimento, rispettivamente n. 51/52 dell'anno '87 e 63/64 dell'anno '89.
  15. R. N. Singer, L'apprendimento delle capacità motorie, Sss Roma 1984, a pag. 121 la fig. 6 - 2 e le considerazioni di pag. 92.
  16. L. Bortoli e C. Robazza, Apprendimento motorio. Concetti e applicazioni, Ed. L. Pozzi Roma 1990 e C. Robazza, Motricità e memoria, in "Ed. fisica e sport nella scuola" anno XLII n. 96 del giugno ‘89.
  17. R. Nicoletti, Il controllo motorio, Il Mulino Bologna 1992.
  18. V. S. Farfel, Il controllo dei movimenti sportivi, Sss Roma '88.
  19. A. Dispenza, Educazione fisica nella scuola media superiore, Sss Roma 1995 e V. Durigon e C. Robazza, Autovalutazione e individualizzazione dell’insegnamento in Educazione fisica in "Movimento 7" n. 2 anno 1991 .
  20. AA. VV., Nuovi orientamenti per l'avviamento dei giovani allo sport, Sss Roma 1984.
  21. G. Carbonaro et Alii, La valutazione nello sport dei giovani, Sss Roma 1988.
  22. G. Battisti et Alii, La valutazione della capacità di movimento, Provincia Autonoma di Trento, Trento 1989.
  23. L. Calonghi, Valutare, Rispes Salerno 1983, a pag. 65.

Bologna, 1996

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